Poesia Nuova Serie nr. 5
  • Pagine: 128
  • Prezzo: € 13,00
  • ISBN: 9788883062995
  • Data Uscita: 21/01/2021

Maria Teresa Horta: La festa e il turbine
Giovanni Giudici
Bernard Noël
Michael Krüger
Poeti giapponesi

Sommario

Maria Teresa Horta, La festa e il turbine. A cura di Federico Bertolazzi

La lingua del padrone. Giovanni Giudici traduttore dall’inglese. A cura di Teresa Franco

Silvio Ramat. 1900-1914. La giovinezza della poesia in Italia. Guido Gozzano (1883-1916)

Bernard Noël, Tomba di Lunven. A cura di Fabio Scotto

Milo De Angelis. I poeti di trent’anni. Giovanni Ibello. Dialoghi con Amin

Michael Krüger, La casa di legno nel bosco e la quarantena. A cura di Cinzia Tanzella

Poeti giapponesi, di Angela Urbano

Emanuel Carnevali, Un uomo che ha fretta. A cura di Antonella Landi

Ivan Crico, Le due lingue della poesia di Giorgio Agamben

Estratto

Ivan Crico. Le due lingue della poesia Di Giorgio Agamben

In una sorta di breve autobiografia poetica, Ivan Crico ha raccontato come comincio a scrivere in dialetto dopo la lettura delle Poesie a Casarsa: “Da quel momento, la mia vita cambio. Quelle poesie davvero segnarono una svolta poiche, fino ad allora, in cio che scrivevo non mi era mai sembrato di riuscire a definire le cose come le sentivo. L’italiano non era la mia lingua vera, seppure molto amata, e quindi tra le cose e i nomi che le definivano si apriva, per me, come una sorta di abisso incolmabile”. La realta che lo circondava, con i suoi profumi e i suoi colori, l’aveva, infatti, conosciuta con altri nomi: “e questi nomi li ritrovai nelle poesie di Pasolini.

C’erano difatti, in quelle liriche, molti termini che avevo sentito ed anche adoperato nell’infanzia… ma soprattutto – ed e la primissima impressione – cio che piu mi meraviglio fu come quelle parole, che per tanto tempo avevo voluto rimuovere, ritraessero alla perfezione i paesaggi da me tanto amati di queste terre di confine. Il suono di quei termini era tutt’uno con le cose che definivano, per cui leggevo e, all’istante, vedevo davanti a me rogge, salici, argini come in una fotografia incredibilmente nitida. Questo fece si che la mia parlata nativa, per lungo tempo snobbata, acquistasse all’improvviso ai miei occhi un prestigio, fino a qualche istante prima del tutto inimmaginabile”. Questa testimonianza e preziosa perché ci ricorda che il poeta in dialetto si situa in qualche modo fra due lingue – una che, pur “molto amata”, sente meno vera e un’altra, piu propria, in cui gli sembra che le parole facciano tutt’uno con le cose. E questa sorta di bilinguismo originario – e la complessa relazione fra due lingue che esso implica – che e in questione nella poesia di Crico.

L’affermazione di Crico secondo cui il suono dei termini del dialetto fa tutt’uno con le cose sara da intendere in modo affatto particolare. Se le cose vi appaiono piu intime e vicine alla parola, cio e proprio perche la parola non pretende di riferirsi immediatamente ad esse, ma le intende attraverso un’altra lingua – o, piuttosto, attraverso una tensione polare tra due lingue, che procede nei due sensi, dalla lingua al dialetto non meno che dal dialetto alla lingua.

Sia, nella raccolta giovanile Ostane (Germogli di rovo), che apre L’antro siél del mondo, la stupenda poesia Sinìƺe, Ceneri.

Sinìƺe. ʃmarida siniƺa/ sparnissada in fra le morte/ radiʃe de l’uliu./ Fogo secret de albissi nemui./ La suturna angunia cundura./ Ta le rame umede de la vida/ la se poƺa ’na tortorela,/ la ciapa fia, pissula/ e debula criatura/ ta’l oro de la lu∫e…// Xe de bot sera./ Al broilo al se de∫lontana/ t’un mondo che ’l vol/ no essar.

Ceneri. Pallida cenere/ sparsa tra le morte/ radici dell’olivo./ Fuoco segreto di bianchi anemoni./ La cupa agonia non muta./ Sui rami umidi della vita/ si posa una tortora,/ riprende respiro, fragile/ e piccola creatura/ nell’oro della luce…// E quasi sera./ Il giardino si allontana/ in un mondo che vuole/ non essere.

L’occhio del lettore (non importa se dialettofono o meno, anche se si sa che il poeta che scrive in dialetto non si rivolge necessariamente a chi lo conosce) si muove da un testo all’altro, in un ripetuto andirivieni. Se la nostra ipotesi e corretta, cio significa che noi compiamo quest’operazione ogni volta che leggiamo poesia, anche se in una sola lingua.

Il dialetto non e che il caso estremo ed esemplare della tensione bilingue che definisce l’intenzione poetica. La lingua della poesia, che risulta da questo movimento, non e un’altra lingua: e, piuttosto, la vita della lingua, la lingua come realta vivente al di la della sua identita grammaticale.

Di questo bilinguismo interno a ogni genuino atto linguistico e quindi anche al dialetto, Crico e perfettamente consapevole. “Il dialetto che impiego nelle mie poesie”, egli scrive, “corrisponde solo in parte con quello che parlo. Questo anche perche, com’e ovvio, la parola poetica e sempre qualcosa d’altro rispetto a quella di cui ci serviamo per comunicare nella vita quotidiana. Un altro motivo e che… ho tentato da subito di risalire alla sua forma piu pura… il piu possibilmente priva di contaminazioni derivanti dalla lingua italiana e dagli apporti recenti dei dialetti limitrofi”. A questa tensione verso una forma pura e incontaminata della lingua, se ne aggiunge subito un’altra, quella fra lingua viva e lingua morta, in cui i vocaboli desueti e scomparsi restituiscono vita al dettato poetico: “Molti dei termini impiegati nelle mie poesie, cosi, sono quasi del tutto se non del tutto scomparsi; e soltanto pochi giovani, come me, hanno avuto la fortuna di poterli udire ancora dalla viva voce dei piu anziani. Credo pero che il dialetto comunque rimanga… una sorta di riserva di energie ctonie, emergenti dal profondo, un luogo in cui sia ancora possibile ritrovare un contatto con gli elementi di cui sono plasmati i nostri giorni”.

In questo doppio movimento tra dialetto e lingua e tra lingua viva e lingua morta, cio che appare quasi come un oscuro canto al di la di tutte le parole e di tutti i nomi e – appena – una voce.

Nell’enunciato della poesia che apre la raccolta e che compendia come in un emblema l’impresa dell’intero libro:

La óʃe tóva. Neta, la oʃe tova; ma divina/ xe la morte la che la se batiƺa/ la fassa sensa piu nome, la fonda/ sova canson che mai no la se pande.

La tua voce. Pura, la tua voce; ma divina/ e la morte dove si battezza/ il viso senza piu nome, il suo profondo/ canto che mai si svela.

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