Catullo

76.

Se viene un qualche piacere a un uomo che si ricorda
del bene fatto in passato, quando riflette che è pio
e che la santa lealtà non ha violato, o abusato,
in alcun patto, dei numi per ingannare altri uomini,
ecco che ti è preparata, Catullo, e in un tempo assai lungo,
molta, da questo non grato tuo amore, felicità.
E infatti, quanto di bene a chiunque un uomo può dire
o può fare, ciò è stato da te sia detto sia fatto.
Cose ora tutte perdute, affidate a una mente non grata.
Dunque perché, ormai, ancora tu insisti a metterti in
croce?
E perché in cuore non ti rinsaldi, e ti liberi, e smetti
d’essere infelice, contro il volere divino?
È difficile, un lungo amore, deporlo all’istante.
È difficile: eppure, sia come sia, devi farcela.
Questa è la sola salvezza, per vincere fino in fondo,
questo ti resta da fare, sia che tu possa o non possa.
O dèi, se è vostro l’aver compassione, o portaste mai a alcuno
un aiuto ormai estremo quando era in pugno alla morte,
a me infelice guardate, e, se con purezza ho vissuto,
via da me ora strappate questa pestifera piaga,
che, nel profondo del corpo strisciandomi, come un torpore,
ha dall’intero mio petto ogni letizia scacciato.
Più non vi chiedo ormai quanto chiedevo: che lei mi ricambi,
o che, impossibile a darsi, voglia serbarsi pudica.
Io, io, voglio guarire, e il mostruoso morbo deporre:
per il mio essere pio questo rendetemi, o dèi.

Traduzione di Alessandro Fo

Poesia n. 345 Febbraio 2019
Il Catullo di Alessandro Fo. L’engagement del traduttore
a cura di Daniele Ventre

 

 

 

 


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