Herberto Helder

Ho letto da qualche parte che gli antichi greci non
scrivevano necrologi,
quando qualcuno moriva chiedevano soltanto:
aveva passione?
quando qualcuno muore anch’io voglio sapere la qualità
della sua passione:
se aveva passione per le cose generali,
acqua,
musica,
per il talento di alcune parole di muoversi nel caos,
per il corpo salvo dei suoi precipizi destinato alla gloria,
passione per la passione,
aveva?
e allora indago su di me se io stesso ho passione,
se posso morire grecamente,
che passione?
i grandi animali selvaggi si estinguono sulla terra,
i grandi poemi scompaiono nelle grandi lingue che
scompaiono,
uomini e donne perdono l’aura
nell’usura,
nella politica,
nel commercio,
nell’industria,
dita connesse, ci sono dita che si ispirano agli oggetti in
attesa,
tremuli oggetti che entrano ed escono
dalle dieci così poche dita per tanti
oggetti del mondo
e cosa c’è così nel mondo che risponda alla domanda greca,
può mantenersi la passione con frutta mangiata ancora viva,
e fare poi con sale grosso una canzone indurita dalle
cicatrici,
parola soffiata in quale forno con che fiato,
che qualcuno chiedesse: aveva passione?
allontanate da me il pepe-del-regno, il ginepro, il garofano
d’india,
mettete molto alta la musica e che io danzi,
fluido, imperituro,
preso da tutte le luci antiche e moderne,
i ciechi, i temperati, ah no, che almeno mi trovasse
la passione
e io mi perdessi in essa,
la passione greca

Traduzione di
Giulia Lanciani

Poesia n. 340 Settembre 2018
Herberto Helder. La macchina lirica
a cura di Giulia Lanciani

 

 

 

 


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