vittime_di_pace
  • Traduzione: Gilda Tentorio
  • Pagine: 224
  • Prezzo: € 17,00
  • ISBN: 9788883063312
  • Collana: Mediterranea
  • Data Uscita: 15/04/2021

Viaggio alla riscoperta dell’autore di Z, Vassilis Vassilikòs, che in questo romanzo giovanile (1956) rivela già doti di grande narratore. È un Bildungsroman a più voci, affresco ironico di una generazione smarrita. Siamo a Salonicco nei primi anni Cinquanta. Protagonisti sono sette giovani alla ricerca di un senso nella vita: c’è lo sportivo, il filosofo con la testa fra le nuvole, lo scrittore in erba, l’idealista, il nevrotico, il gigolò opportunista, il bigotto studente di teologia. Ognuno con il suo segreto, i suoi dubbi, le disillusioni. Sono degli antieroi nel clima asfissiante della guerra fredda, delle “vittime di pace”. Si muovono in una città sensuale, magnetica, sempre uguale e diversa, pronta a soffocare sogni e ideali in una palude di mediocrità. Per scrollarsi dal torpore mortifero, ecco la spinta all’azione: progettano di “rapire” la Nike di Samotracia dal Louvre e di riportarla in patria. L’avventura si colora di giallo, in un ritmo concitato di discesa agli Inferi. Il romanzo di Vassilikòs è una dichiarazione di amore e odio per Salonicco, con un retrogusto di amara tenerezza per i visionari di tutti i tempi che sognano la fuga in un altrove migliore.

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Estratto

L'incipit

Era un dono raro la neve per la nostra città. Raro, perché nebbia e pioggia non liberavano mai il cielo sopra di noi, anzi avviluppavano la città in un incubo continuo e opprimente. Le piogge cadevano tutto l’inverno, non copiose ma molto insistenti, sciogliendosi talora in foschia o nevischio. Cominciavano presto d’autunno e finivano nella tarda primavera in una compatta nuvolaglia grigia, che soffocava il sole e restringeva senza scampo l’orizzonte. Sotto quella pioggia sottile come uno zampillo incessante marcivano i legni e i tetti delle case, mentre nel profondo dei nostri cuori calava un senso d’inerzia e di silente dissoluzione. Non c’era luogo dove poterci nascondere; nemmeno una serra per tenere al caldo le nostre speranze. Vivevamo immersi in quella cortina di pioggia interminabile, che goccia dopo goccia erodeva la nostra già scarsa sicurezza.

Gli unici giorni asciutti in questa stagione piovosa capitavano quando prendeva a soffiare il Vardaris, il gagliardo vento di queste parti che spira dalla valle del fiume Axiòs e con la sua lama fendeva la scorza della nebbia. Allora le piogge cessavano, sbucava il sole e noi ci riversavamo per le strade, avidi di quell’aria gelida asciutta. Ma era solo una breve parentesi, e infatti, appena il Vardaris se ne andava, in cielo si radunavano di nuovo le nu vole, e dalla placida distesa cinerea ricominciava il loro pianto inesorabile. E la nostra città tornava a essere un pantano, in cui sprofondavamo ogni giorno di più, senza neanche la forza di urlare.

L’inizio dell’inverno per tutti noi significava una fine. Cominciava un lungo isolamento e nessuno ne conosceva la durata. Era ancora vivo in noi il gioioso ricordo della Fiera internazionale, con la sua vitalità esplosiva e vibrante. Ma la sua chiusura, appena prima della stagione invernale, significava per noi la fine di ogni gioia e movimento, l’apatico ritorno alla trita e monotona quotidianità. Le strade si increspavano di un’improvvisa solitudine e la nebbia ci avvolgeva nel suo tempo indistinto, dove a ogni passo si incontravano e si separavano due realtà dolorosamente inconciliabili, il passato e il presente.

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